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IL CONSENSO INFORMATO: QUANDO SOTTOSCRIVERLO – COMPRENSIBILITA’ DEI RISCHI

Si rivolgeva all’intestato studio la Sig.ra XX, affetta da endometrosi ovarica.
In ragione della affezione – significativamente impeditiva di una gravidanza spontanea – la paziente veniva presa in cura dal reparto di Ostetricia e Ginecologia del Presidio curante e sottoposta a pick – up (cioè aspirazione intravaginale a mezzo di apposita canula di ovuli presenti in sede ovarica).
Il modulo di consenso informato relativo alla procedura chirurgica succitata recava data di circa 15 (quindici) mesi antecedenti l’intervento predetto; sopra tutto risultava essere del tutto privo di indicazioni sulle possibili complicanze proprie di tale – abbastanza invasivo – accesso chirurgico.
Dopo circa 10 (dieci) giorni dall’intervento la paziente veniva ricoverata nel nosocomio a causa ed in conseguenza dell’insorgere di febbre, leucocitosi e severa dolorabilità pelvica.
Le condizioni della paziente peggioravano sensibilmente in un arco temporale medio breve, venendole infine diagnosticata una peritonite pelvica acuta insorta in ragione dell’intervento di pick-up ovarico.
La giovane paziente si vedeva costretta finanche alla asportazione di entrambe le ovaie; veniva invero eseguita indagine istologica dei campioni prelevati dai quali si evinceva positività per peptoniphilus harei unitamente ad esame colturale con rilievo di positività a peptostreptococcus magnus (gravi infezioni causate da batteri).
Appurata l’evidente responsabilità degli operatori dell’azienda ospedaliera la Signora richiedeva l’integrale ristoro di tutti i danni gravissimi occorsile in ragione dell’operato negligente, imprudente e imperito dei sanitari del nosocomio.
Dal punto di vista giurisprudenziale e del consenso informato:
Tra il primo evento (acquisizione del modulo debitamente firmato) e il secondo evento (accesso chirurgico) intercorreva un lasso temporale di circa 15 (quindici) mesi.
Il requisito dell’attualità – caratteristica cardine dell’informazione che deve essere data al paziente – non risultava dunque soddisfatto.
Da una attenta e scrupolosa lettura della documentazione clinica risultava inoltre in cartella clinica un consenso informato riportante la SOLA tipologia di procedura chirurgica posta in essere, senza alcuna illustrazione dei rischi e delle complicanze dell’operazione alla quale veniva sottoposta la paziente.
Giova rammentare che il consenso informato è, sia dal punto di vista nazionale che comunitario, un diritto inviolabile della persona, da intendersi come espressione del diritto all’autodeterminazione.
Caratteristica fondamentale di un consenso “valido” si ricollega al fatto che il paziente deve essere “opportunamente informato”.
Non è dunque sufficiente che il paziente abbia sottoscritto generico modulo prestampato; sottoscrizione che non può essere in alcun modo intesa come volta ad attestare la corretta informazione sulle modalità del trattamento da eseguire.
Per contro, affinché si possa ritenere sussistente la validità del consenso è indispensabile che il sanitario informi – con linguaggio comprensibile ed adeguato al livello culturale del singolo paziente – dei benefici, delle modalità di intervento, dell’eventuale possibilità di scelta tra diverse tecniche operatorie e, infine, dei rischi prevedibili in sede post-operatoria.
Il paziente deve dunque essere sempre messo in condizione di decidere se sottoporsi o meno all’intervento ma anche se farlo in quella struttura ovvero chiedere di trasferirsi in diverso nosocomio.
Nel caso in esame era onere del chirurgo:
discutere con la paziente – nell’immediatezza dell’accesso chirurgico e non 15 (quindici) mesi prima – in maniera adeguata ed esauriente, delle caratteristiche e delle conseguenze ovvero delle rischiosità dell’intervento.
Lo specialista avrebbe dovuto inoltre esporre in termini semplici e facilmente comprensibili dal degente le tecniche attualmente disponibili per l’effettuazione dell’operazione nonché tutte le alternative terapeutiche possibili (chiarendo infine se ve ne fossero di minore invasività).
All’interno del consenso informato deve, pertanto, essere documentato tutto ciò che rientra nei limiti della conoscibilità al momento in cui viene spiegato al paziente il rapporto rischi – benefici del trattamento proposto.
Sopra tutto:
il paziente non deve sottoscrivere un modulo standard senza avere previamente letto e compreso;
senza che il medico abbia dedicato tempo adeguato alle spiegazioni del caso;
senza avere ricevuto spiegazioni di livello per lui/lei comprensibili e relazionati al suo grado culturale, alla sua capacità di comprensione della criticità dell’agire medico e/o in una lingua al paziente di media conoscibilità/comprensione.
La recente sentenza della Suprema Corte, la n. 15749 del 2018 esprime un principio di diritto in materia estremamente chiaro: in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’ars medica, dal quale siano scaturite conseguenze dannose per la salute, se l’intervento non è stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevisti, il medico rischia di dover risarcire il danno alla salute.
Nel caso di specie emergeva come il modulo di consenso informato sottoscritto – 15 (quindici) mesi prima dell’intervento – dalla Sig.ra XXX, non fosse per nulla esaustivo né completo ai fini della corretta informazione sull’intervento per cui è stato oggetto di causa.
Si appurava che la Signora, di nazionalità straniera, aveva finanche faticato a comprendere il senso delle parole in una lingua che non le apparteneva, resa ancor più complessa da argomentazioni dedotte con un linguaggio altamente tecnico ed incomprensibile per la giovane donna.
Giudizio incardinato per un valore della controversia per Euro 260.000,00.

Dott.ssa Alessia Leccese